Personaggi illustri
Ettore Scola
Nasce nel 1931 a Trevico, dove ha vissuto fino a tre anni quando il padre, medico condotto, viene trasferito a Benevento
dove rimane per due anni prima di trasferirsi definitivamente a Roma. Durante la sua adolescenza trascorre i mesi estivi a
Trevico, in casa dei nonni paterni. Fin da giovane scrive e disegna vignette sul Marc'Aurelio e sul Travaso e con i primi
guadagni si compra la sua prima motocicletta.
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Studia giurisprudenza presso la Sapienza di Roma e inizia a collaborare con il giornale umoristico Marc'Aurelio. Scrive le
sue prime sceneggiature, spesso insieme a Ruggero Maccari, fin dalla metà degli anni '50. Nel decennio seguente coautore
di copioni come "
Il sorpasso" (1962) e "
I mostri" (1963) di Dino Risi. Debutta alla regia nel 1964 con un film ad episodi
"
Se permettete parliamo di donne". Nel 1965 ottiene il nastro d'argento per il film "
Io lo conoscevo bene".
Benché abbia iniziato la sua carriera con la commedia all'italiana, Ettore Scola ha in seguito spostato il suo sguardo su
alcune grandi problematiche degli ultimi decenni, diventando così uno dei registi italiani più altamente considerati anche
all'estero. Ha più volte affermato: "I miei film sono un colabrodo, sono pieni di buchi. Non ho mai aspirato a fare opere
definitive, ma ho sempre sperato di invitare il pubblico a fare una riflessione". Nel suo lavoro, infatti, è riuscito a
miscelare, con sagacia ed esperienza, la commedia alle più serie tematiche politiche e sociali. In "
C'eravamo tanto amati"
(1974), vincitore al Festival di Mosca nel 1975, dedicato a Vittorio De Sica, (che lo aveva ispirato con il suo Ladri di
biciclette) Scola, con una tecnica molto vicina a quella neorealista, racconta trenta anni della nostra storia attraverso
le vicende personali e sociali di tre amici, veterani della resistenza. Nel 1977 il bellissimo "
Una giornata particolare",
(in cui recitano una superba Sophia Loren ed un eccellente Marcello Mastroianni) che racconta dell'incontro fra una
casalinga frustrata ed un omosessuale anti-fascista in una Roma pronta ad accogliere il Frer, viene candidato all'Oscar
come miglior film straniero. Il suo punto di vista sul capitalismo e sugli effetti dell'alienazione trova sfogo
nell'atipico film-documentario "
Trevico Torino: viaggio nel Fiat-Nam" (1974), mentre la sua denuncia sulla vita degradata
delle borgate si palesa in "
Brutti sporchi e cattivi" del 1975 con cui viene premiato per la miglior regia al Festival di
Cannes. Fuori dai confini nazionali, Scola si è cimentato con "
La nuit de Varennes" (1982), rivisitazione fantastica della
rivoluzione francese, per cui ha ottenuto notevoli consensi. Gli anni ottanta sono meno ambiziosi. Di questo decennio sono
pellicole come: "
La terrazza" (1979), ritratto collettivo della vita notturna di alcuni intellettuali romani, "
Passione
d'amore" (1980), film in costume ispirato al testo dello scapigliato Igino Ugo Tarchetti, "
Ballando ballando" (1984), in
cui racconta cinquant'anni di storia francese visti attraverso una sala da ballo, "
Maccheroni" (1985) in cui Jack Lemmon
e Marcello Mastroianni si prestano a gag e luoghi comuni sulla napoletanità, "
Che ora è" (1989) con Mastroianni e Troisi
premiati a Venezia, e "
Splendor" (1988) giudicato dalla critica il suo peggior film. Di questa lista non fa certamente
parte "
La famiglia" (1987) film minimalista, girato tutto in un appartamento, che ritrae una famiglia della media borghesia
romana dagli inizi del novecento fino alla metà degli anni ottanta. Il film, che vuole quasi essere un progetto didattico,
venne escluso dal palmares di Cannes provocando indignazioni da più parti. Nel 1990 dirige "
Il viaggio di Capitan Fracassa"
in cui mescola teatro e cinema, nel 1992 "
Mario, Maria e Mario", nel 1994 "
Romanzo di un giovane povero" con Alberto Sordi e
nel 1998 "
La cena" altro film corale con un cast d'eccezione fra cui Gassman, Sandrelli, Ardant e Giannini. Nel 2000 esce
"
Concorrenza sleale" che riprende la riflessione sull'epopea fascista iniziata con "
Una giornata particolare". Nel 2002 ha
debuttato nella regia lirica dirigendo "
Così fan tutte", di Mozart. Le critiche sono state ottime, in quanto il cineasta non
ha fatto altro che rendere vitale e godibile tutta l'opera, evitando di stravolgere la trama e l'ambientazione originale.
Nel 2003 torna alla regia cinematografica con "
Gente di Roma", dedicato ad Alberto Sordi, che muovendosi fra cinema e
documentario, tenta di raccontare la romanità in tutte le sue sfumature, da quelle più allegre a quelle più tristi
avvalendosi di un cast in cui figurano Stefania Sandrelli, Valerio Mastandrea, e Arnoldo Fo.
Nel febbraio 2001 viene insignito della Medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e dell'arte, con la seguente motivazione:
"Per la particolarità del suo cinema che è quella di lasciare degli spazi al pubblico, spazi di riflessione autonoma nei
quali ognuno può trovare se stesso, i propri sogni, impulsi, desideri, delusioni. E' considerato uno dei massimi registi
italiani, per molti... un maestro". Due anni dopo, nel mese di maggio, il presidente della Repubblica lo decora Cavaliere
di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana e qualche mese dopo, in Portogallo, (in occasione del Festival
Internazionale di cinema "Festroia") riceve il "Delfino d'oro - premio alla carriera" e la medaglia della cultura della
città di Setubal. Nell'aprile del 2005 il suo "Gente di Roma" apre in Gran Bretagna il 12 "Italian Film Festival", la
rassegna che si prefigge di far conoscere il cinema italiano nel mondo. Nel febbraio del 2006 è stato insignito del
prestigioso premio "Città di Recanati per un cinema di poesia". In occasione della prima edizione del Festival del Cinema
di Roma, nell'ottobre del 2006, Ettore Scola è stato a capo della giuria della manifestazione che, come lui stesso ha
specificato, si inserisce "a pieno titolo nella nouvelle vague culturale della capitale".
Nel 2008, ripete l'esperienza a capo di una giuria cinematografica presiedendo quella della settima edizione del "Festival
Magna Grecia". Il 28 maggio 2009, in occasione della serata organizzata dai giornalisti cinematografici per l'annuncio
delle candidature ai Nastri d'Argento, viene insignito del Nastro d'Onore alla carriera. Nonostante la sua lontananza dal
paese natio, il regista ha mantenuto solidi rapporti di amicizia con solerti compaesani così nell'estate del 2009 ha
scritto la prefazione del libro di ricette e tradizioni irpine "Un mondo di sapori antichi" di Mariangela Cioria che -
nell'autunno dello stesso anno, presenziando alla presentazione del volume presso la Fiera della Piccola e Media Editoria a
Roma ha definito "un insieme di appunti per la memoria e la conoscenza". Nel gennaio 2011, su proposta del Direttore
Artistico Felice Laudadio, è stato nominato Presidente del Bari International Film TV.
Teresa Lavanga
Rosa Giannetta Alberoni
Nasce a Trevico da una famiglia di contadini che ben presto si trasferisce in Puglia per motivi di lavoro. Fin da piccola accudisce i fratellini
ed aiuta i genitori nei lavori nei campi. Dopo la licenza elementare, Rosa si rende conto della sua vocazione per lo studio e la scrittura e
convince il padre a lasciarle proseguire gli studi.Si trasferisce, così a Milano, dove si mantiene agli studi lavorando.
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Nel 1974 si laurea alla IULM in Lingue e Letterature straniere con il massimo dei voti,
presentando una tesi su Bertold Brecht.
Nel 1975 vince un concorso come assegnista all'Università UILM dove inizia la sua carriera con la pubblicazione di diversi volumi tra cui Coscienza e utopia in Bertold Brecht, Strumenti del Comunicare, L'immagine del futuro, Galileo e il cielo negato (1979).
Coordina diverse ricerche alla Fondazione Rizzoli sui temi della Stampa, TV, Teatro e collabora con il quotidiano La Stampa.
Fonda e organizza la cooperativa teatrale Teatro di tutti e prepara una riduzione dell'Inferno di Dante.
Dal 1987 al 2006 insegna presso la IULM al corso di Sociologia generale e scrive il romanzo La voglia di more che ottiene notevoli riconoscimenti.
Scrive numerosi saggi, I meccanismi della vita quotidiana, L'era dei mass media, Miti del quotidiano, lavora per diversi quotidiani e, nel 1989 pubblica il romanzo storico L'orto del Paradiso per il quale riceve il premio Gargano per la letteratura e Romeo Gigli per la narrativa.
Nel 1992 pubblica Io voglio e, nel 1994 il romanzo Paolo e Francesca cui seguono volumi di saggistica quali Hegel sociologo nostro contemporaneo (2000), La ricerca sociologica sulle emozioni e i consumi degli anziani (2001), Persona e comunicazione (2005), Miti e cambiamento sociale (2005).
Nel 1999 pubblica la saga familiare Sinfonia mentre nel 2005, dopo aver approfondito gli studi su Rousseau, Hegel e Marx pubblica La montagna di luce.
Sul filone dell'anticristianesimo pubblica La cacciata di Cristo (2006), Il Dio di Michelangelo e La Barba di Darwin.
Con il libro intervista La squadra del 2006 riceve il Premio Gianni Brera per la saggistica.
Giuseppe Maria Montieri
Nato a Trevico il 18 novembre 1798, è stato un vescovo cattolico italiano, esponente del cattolicesimo intransigente,
convinto assertore della causa borbonica. Di nobile famiglia, seguì gli studi liceali ad Avellino, dove il padre fu
magistrato. Laureatosi in Sacra Teologia fu nominato rettore del Seminario di Avellino e di Troia.
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Fu ordinato sacerdote nel dicembre del 1822 da mons. Ferrari, Vescovo di Lacedonia, e promosso canonico in Trevico. Fu
anche Vicario del Vescovo di Bovino, Vicario Generale nella Diocesi di Ascoli Satriano e Cerignola, professore di diritto
canonico nel Seminario di Gaeta. Con Decreto Reale di Re Ferdinando II fu nominato rettore del regio liceo di Salerno. Il
13 settembre 1838 fu nominato vescovo di Sora, Aquino e Pontecorvo da Gregorio XVI e consacrato a Roma dal cardinale Carlo
Odescalchi. Aveva preso l'abito religioso entrando nella congregazione dei Redentoristi, ma per motivi di salute si era
collocato nel clero secolare.
Il suo episcopato fu caratterizzato da una costante attenzione a ripristinare la disciplina ecclesiastica nel clero:
riorganizzò i seminari di Roccasecca e di Sora, proibì l'uso largamente invalso di abiti civili, la partecipazione alla
caccia e ai giochi d'azzardo, l'ubriachezza e la bestemmia; nelle lettere pastorali ci sono severi richiami a effettuare
celebrazioni liturgiche decorose ed è ribadita la proibizione della musica profana in chiesa. Il suo rigorismo morale lo
portò ad esortare i parroci a tentare di impedire le conventicole notturne in campagna in occasione dello spoglio del
granturco o della mietitura; severamente condannate anche l'abitudine delle donne di tirarsi su le vesti durante i lavori
agricoli e le conversazioni amorose tra fidanzati.
Fu avverso alle idee carbonare e liberali, in cui vedeva l'espressione dello spirito di ribellione primordiale di origine
luciferina e rimase fino all'ultimo fedele alla monarchia borbonica. Nel 1844 sospese a divinis il sacerdote Benedetto Scafi
di Santopadre, di tendenze liberali. Il 2 gennaio 1848, quando fu concessa la costituzione da parte del re Ferdinando II,
pur contrario, accondiscese a cantare il Te Deum in cattedrale, come gli aveva chiesto il sindaco di Sora, per ragioni di
ordine pubblico. Tuttavia dei tumulti contro di lui scoppiarono ugualmente, e dovette rifugiarsi a Napoli. L'atteggiamento
intransigente gli provocò l'ostilità dei galantuomini liberali e del clero più moderato. A Pontecorvo fu fatto anche oggetto
di un attentato.
Giuseppe Montieri profuse un impegno costante nella creazione di istituzioni religiose e opere di carità. Nel 1849, con
l'aiuto del gentiluomo sorano Eustachio Tuzi, portò a termine il Ritiro dei Passionisti che sostituirono i Cappuccini nel
convento di Pontecorvo. Nel 1852 fondò la Casa delle Figlie del Sacro Cuore ad Arpino. Durante l'epidemia di colera del 1854
si prodigò personalmente nell'assistenza ai malati, incurante del contagio. Nel 1856 fece ripristinata la casa dei padri
gesuiti a Sora, che era stata chiusa nel 1805 durante l'occupazione francese. Nel 1858 fece ultimare l'Orfanotrofio delle
Stigmatine. Altre fondazioni religiose furono intraprese ad Alvito, Fontechiari, Settefrati, Roccasecca, Arce e Terelle.
Il 18 settembre 1860 il vessillo di Vittorio Emanuele II fu inalberato nella piazza Santa Restituta. Montieri fu colpito da
mandato di cattura e fu accusato di collusione con i briganti che resistevano armati all'occupazione piemontese, come il
sorano Chiavone. Per questa ragione dovette rifugiarsi dapprima nel convento dei Francescani di Ferentino e poi a Roma
presso i Padri Liguorini. Le sue condizioni di salute andarono peggiorando e, dopo una crisi che lo aveva colto sulle scale
del Vaticano, fu portato nel monastero di Sant'Alessio dei Padri Somaschi, dove morì il 12 novembre 1862. La sua tomba è
nella chiesa di Sant'Alfonso, sull'Esquilino, con una lapide dettata dal padre Angelini, gesuita.
Confessore della regina Maria Cristina di Savoia, scrisse la sua biografia (Vita della venerabile serva di Dio Maria
Cristina di Savoia, Regina del Regno delle Due Sicilie, Roma, 1862) e raccolse in un volume (Memoria storica sopra S.
Euplio, 1829) i documenti che riguardavano la vita di S. Euplio Martire, protettore di Trevico.
Scrisse anche un Panegirico della Coronazione di Maria SS. delle Fratte di Castel Baronia (1832), inno di fede e di
preghiera, dal linguaggio semplice e profondo; e due Elogi Funebri, uno dedicato a D. Desiderio Mennone, Vescovo di
Lacedonia (1829) e l'altro a Francesco I Re del Regno delle Due Sicilie (1831).
Andrea Calabrese
Nato a Trevico il 24.08.1823, fu Teologo e Canonico della Cattedrale del paese e dal 1848, per alcuni anni, Rettore del
Seminario della vicina Lacedonia. Si dedicò allo studio delle origini e delle vicende storiche del suo paese di nascita, i
cui risultati furono raccolti nel volume "Memorie Storiche di Trevico", mai pubblicato.
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Per la sua disponibilità verso L'Istituto di Corrispondenza Archeologica di Roma ne divenne Socio Corrispondente
nell'aprile del 1876, tenendo frequenti contatti con Giuseppe Fiorelli e con lo studioso tedesco Theodor Mommsen di cui si riporta di seguito una lettera del 1880
1. Morì a Trevico il 04.03.1906.
Al Reverendissimo Signor
Andrea Calabrese
Canonico Teologo
Italia
Trevico
Principato ulteriore
Reverendissimo Signore,
le comunicazioni epigrafiche, che nel 1876 e 1877 Ella si compiacque di fare al nostro Instituto Germanico a Roma, sono
state mandate a me per farle entrare nel Corpus Inscriptionum Latinarum, di cui il volume colle iscrizioni Irpine sta per
uscire. Troppo tardi m'avveggo ch'Ella nella sua gentilissima del 19 Aprile 1877 ci offerse le dieci iscrizioni di Lacedonia,
le quali poi non furono mandate, probabilmente perchè gli amici Romani non le hanno date riscontro. Però sarebbero
importanti assai; io per l'antica Aquilonia tengo tre titoli soli inediti tutti trovati nei mss. (manoscritti) del
cinquecento e del secolo passato; ma le sue mancano evidentemente. Dunque si compiaccia di mandarle quanto prima, sia
all'Instituto, sia a me direttamente; l'indirizzo mio lo troverà in testa di questa lettera.
Se vi fosse da aggiungere altre cose per Trevico, ora ancora vien a tempo e potrà entrare nella grande raccolta
2.
Ma bis dat, qui cito dat; in questo caso il proverbio è purtroppo vero.
Suo devotissimo
Mommsen.
Charlottenburg
20 Aprile 1880
1) Cfr. Le lettere di Theodor Mommsen agli italiani, www.mommsenlettere.org
2) Calabrese informerà a stretto giro di posta il Mommsen sulle nuove scoperte di Aquilonia.
Così Mommsen apud CIL IX, p. 668: "Descripsit tum eos (scil. titulos) Andreas Calabrese, eo tempore
ibi rector seminarii, hodie canonicus Trevicensis, eoasque liberaliter mecum communicavit a. 1880".