| | E' triste, solitario e un po' in disparte,
 quell'albero dai rami secchi e spogli;
 l'ultime foglie a sussurrar preghiere
 al cielo che da sempre resta amico.
 Rapisce l'ombra quel segreto agreste
 di forza e di dominio ormai domato;
 quel legno… decomposta ha la fierezza
 nel corso di stagioni ormai raminghe.
 La luce evanescente del mattino
 sferza col suo chiarore equinoziale
 quel tronco già inclinato dalla sferza
 del gelo che ha scarnito la corteccia.
 Ma vivo è quel ricordo degli uccelli
 che si beavan d'intrecciare canti
 tra foglia e foglia e tra una gemma e l'altra
 spaziando pei poderi e i latifondi.
 Si piegano dolendo i vecchi rami
 nell'elevare l'ultima richiesta:
 - Brezza di marzo, tu, aria gentile
 che accarezzavi i bocci a primavera...
 fermati ancora un poco e non languire,
 resta con me nell'ultimo respiro.
 Ricordo i tuoi capricci un po' maldestri
 nello spazzare i teneri virgulti...
 ma poi con le moine d'un fanciullo
 lieve sfioravi la mia chioma folta.
 Passato è ormai quel tempo e la stagione
 dei nidi e canti e di romanze azzurre;
 quando quest'esser mio era pervaso
 da trilli e cinguettii nell'aria nuova.
 E l'ansia della sorte a me matrigna
 accresce come bruma che s'addensa
 solo al pensiero che una terra brulla
 grida tra rovi e spine la vendetta.-
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